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AEREI, AUTOMOBILI, ENERGIA E INVESTIMENTI: LA UE CORRE AI RIPARI PER AGGIRARE LE SANZIONI

Le grandi aziende europee sono in contatto con i rispettivi governi. Vogliono sapere quali soluzioni possono essere messe in campo per proteggere i loro affari in Iran. L’Unione europea è il terzo partner commerciale di Teheran (in testa c’è la Cina, seguita dagli Emirati Arabi), con un interscambio che nel 2017 ha superato i 20 miliardi di euro, e le sue aziende sono in cima alla lista dei principali investitori. Soprattutto nel settore energetico, in quello automobilistico e nell’aeronautica. Per salvare gli accordi, serve una sorta di scudo che permetta di aggirare le sanzioni americane. Bisogna fare in fretta: le misure scatteranno in due tempi – a inizio agosto e a inizio novembre – per i contratti già firmati. Quelli nuovi finiranno invece immediatamente sotto la scure americana. Il ministro francese dell’Economia, Bruno Le Maire, chiederà al segretario di Stato Usa, Steven Mnuchin, esenzioni o misure di salvaguardia per i contratti e gli investimenti già in essere.

Il piano di Bruxelles

L’Europa si sta muovendo per mettere in campo le contromosse. I ministri degli Esteri di Francia, Regno Unito e Germania si incontreranno lunedì con i rappresentanti del governo iraniano. Mercoledì mattina la questione sarà affrontata al tavolo della Commissione europea e, la sera stessa, alla cena tra i 28 leader Ue in programma a Sofia. È certamente un importante banco di prova per l’unita del fronte europeo. Tra le ipotesi che circolano in queste ore, c’è il possibile ricorso a un regolamento Ue adottato negli Anni 90 (in occasione delle sanzioni Usa a Cuba) che di fatto neutralizzerebbe gli effetti extraterritoriali delle sanzioni adottate da Paesi terzi. Si studiano poi interventi sul piano finanziario, magari attraverso la Banca Europea per gli investimenti, visto che le nuove misure americane colpiranno le aziende che commerciano in dollari. Potrebbe essere introdotto uno schema simile a quello messo in campo dall’Italia a gennaio, che serve a garantire 5 miliardi di investimenti. Resta l’opzione di un ricorso alla Wto, ma c’è il rischio di fare un buco nell’acqua perché le sanzioni di Trump sono legate alla sicurezza nazionale.

I colossi francesi

Parigi è al momento tre le capitali più attive. E ha le sue buone ragioni. La Total, colosso energetico, ha firmato in Iran uno dei contratti più pesanti del post-sanzioni: un progetto da 5 miliardi di dollari, realizzato con il gruppo cinese Cnpc, per lo sfruttamento del giacimento South Pars. Il gruppo automobilistico Psa (Peugeot-Citroën) ha investito 700 milioni di euro per produrre in Iran circa 200 mila veicoli l’anno. Anche la Renault ha siglato una partnership che la vedrà coinvolta nella produzione di circa 150 mila vetture l’anno. Alstom ha una joint venture per realizzare metropolitane e linee ferroviarie.

Le mosse di Berlino e Roma

C’è poi la Germania, primo partner commerciale dell’Iran con un volume di 3,4 miliardi di euro l’anno. Solo l’export tedesco a Teheran vale 3 miliardi tra macchinari, prodotti farmaceutici e alimentari. E sono parecchie le grandi aziende attive nel Paese. La Siemens ha un accordo per rinnovare la rete ferroviaria iraniana. La Mercedes-Benz per produrre e vendere i suoi camion della Daimler. Anche l’Italia ha un peso commerciale rilevante, con un export di 1,7 miliardi. Sul fronte investimenti, Saipem ed Eni stanno lavorando a progetti nel settore energetico. Ferrovie dello Stato ha un accordo da 1,2 miliardi con la controparte iraniana per realizzare una linea ad alta velocità. Tra gli altri colossi europei, vanno certamente ricordati gli interessi di Airbus che ha una commessa da 173 jet in Iran, mentre Atr ha un accordo per venderne altri 20. Molto attivi anche gli olandesi con Shell, e in norvegesi (sempre nell’energetico e nelle rinnovabili). L’austriaca Oberbank è presente nel campo finanziario. Ovviamente gli investimenti stranieri in Iran non sono solo europei. Nell’energetico hanno un certo peso le grandi imprese indiane e russe. I cinesi – oltre all’accordo con Total – hanno interessi significativi. Per esempio stanno rinnovando la linea ferroviaria tra Teheran e Mashhad (un progetto da 2,2 miliardi di euro). E sono pronti a colmare il vuoto in caso di fuga delle aziende europee.

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Fonte: La Stampa | Esteri

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